Introduzione
L’ora più buia
Non sono stati anni semplici. Dal singolo cittadino fino alle realtà scolastiche, produttive e associative, passando ovviamente per le pubbliche amministrazioni e i servizi in capo alla regione e al governo centrale, tutti hanno pagato un prezzo negli ultimi cinque anni. Dalla pandemia globale che ha fratturato il tessuto sociale fino al rimbalzo dell’inflazione che ha messo in pericolo i conti di famiglie, aziende e Comuni (dalla crescita esponenziali dei costi energetici, con le ovvie ricadute su tutti i costi delle forniture, l’aumento degli interessi dei mutui) arrivando ai conflitti che hanno scosso il cuore dell’Europa e, ultimo ma non ultimo, il martello dell’alluvione che qui ha colpito con più durezza la serenità delle famiglie, l’integrità delle infrastrutture, il cuore produttivo del paese.
I cittadini e le cittadine di questa comunità sono stati più soli. Anche gli enti pubblici sono stati spesso lasciati da soli a risolvere problemi molto più grandi delle loro possibilità: un po’ per incapacità dei governi centrali, un po’ perché le amministrazioni locali sono le uniche che hanno un contatto diretto con la cittadinanza. Prendendosi spesso responsabilità e scelte che spetterebbero ad altri, quando queste vengono a mancare.
Da decenni l’Italia, che per motivazioni storiche è un paese fragile (debito pubblico, anzianità della popolazione, deficit di crescita, etc), vive in un limbo in cui momenti di tiepido ottimismo si alternano a momenti di crisi profonda e ben più duratura.
Di fronte a queste condizioni sarebbe molto facile fare un passo indietro, rassegnarsi al declino, osservare dall’esterno (senza assumersi delle responsabilità) le persone più deboli e fragili farcela sempre meno, perdere terreno, occasioni, scampoli di futuro. Una generazione di giovani tenuta in panchina, sottopagati e sempre meno autonomi.
Recenti studi tratteggiano un’Italia che nel 2050 avrà perso circa 10 milioni di abitanti, una percentuale di persone coinvolte nel mondo del lavoro sempre più esigua e un numero crescente di anziani, con meno risorse per sanità, pensioni, servizi.
Siamo di fronte all’ora più buia. Sarebbe molto facile cedere il calice, scansare le responsabilità, lasciar fare a chi con molta arroganza propone soluzioni semplici a problemi complessi, prendendo in giro i cittadini proponendo loro delle illusioni e delle scorciatoie a buon mercato. Ecco: noi non siamo questi. Preferiamo che a definire noi stessi sia la capacità di proporre qualcosa ai cittadini, un’idea di mondo cui attaccare proposte concrete, misurabili, utili alla comunità. Non è la via più breve, né quella più facile: crediamo però sia la via più giusta. Quella che tiene insieme un sogno è una proposta.
Anche le ore più buie, poi finiscono.
Il paese delle palme e l’ombra del passato
Ogni generazione ha vissuto un tempo, con le proprie abitudini, i propri convincimenti, i propri costumi. Non siamo mai stati per fare la guerra al passato, che ha meriti e limiti in proporzione al contesto del tempo alle spalle. Ma noi viviamo nel qui ed ora.
Non vogliamo svilire quel che c’è stato: vorremmo parlare di quel che ci sarà facendo qualche inevitabile premessa. Molinella oggi non è più una piccola isola autarchica sul finire degli anni ’60. La maggior parte delle grandi industrie molinellesi si deve confrontare con logiche europee, globali: è possibile immaginarsi che le industrie che oggi commerciano con il Sudamerica, con il Sudafrica, con la Cina, possano rientrare nelle logiche da paesello di provincia che deve bastare a sé stesso? Senza un mondo a farci da interlocutore e da contesto, Molinella sarebbe morta. Sono lontani, fortunatamente, i giorni in cui un’azienda doveva sostenersi vendendo prodotti alla sagra del paese. L’isolamento culturale produce una sola cosa: povertà.
È parimenti assurdo che in un mondo in cui si muovono liberamente le merci, non si muovano le persone: ci fosse bisogno, sarebbe la storia a incaricarsi di smentire questa illusione. Molinella oggi ha una grandissima quantità d’abitanti arrivati negli ultimi decenni. Sono una ricchezza, nel rispetto di regole condivise e tradizioni del territorio.
Ecco, avviso ai naviganti: il mondo di prima oramai esiste solo nella testa di alcuni. E non tornerà. Così come non torneranno le consorterie, i favori scambiati per diritti, l’arroganza di chi pretende per nascita e appartenenza e non per merito. Il mondo di chi si volta dall’altra parte di fronte al bisogno degli altri. Il mondo di chi pensa, dal suo piccolo strapuntino che i guadagni vadano privatizzati socializzando le perdite. E che gli appalti vadano divisi tra gli amici al bar.
Ecco: Molinella non è il paese delle palme. La legalità è un valore. Come diceva un grande dirigente socialdemocratico degli anni ’60 e ’70, a milioni di chilometri da quelli attuali pensando alle socialdemocrazie del nord Europa: “l’importante è andare al Nord”. Dove il nord erano i diritti, i doveri, il senso di responsabilità. Questa per noi è la stella polare.
La stella del vespro
C’è una direzione molto chiara da prendere, un punto di riferimento a farci da guida sulle mappe, una stella da seguire quando le notti si fanno più scure e piene di terrori. Innanzitutto la consapevolezza che gli altri, nella vita, sono la cosa più importante. È la relazione con chi ci circonda, la nostra capacità di ascolto, la condivisione dei traguardi e dei fallimenti delle persone con cui dividiamo sogni, aspirazioni, luoghi e percorsi.
La consapevolezza che le responsabilità non sono mai solo individuali (che pur contano, indubbiamente) ma collettive: e che gli inciampi e i patemi di chi rimane indietro e fa fatica ad emergere, devono appartenere a tutta una comunità. Una comunità educante i cui i figli degli altri sono anche i nostri figli, in cui le persone non si voltano dall’altra parte di fronte alle nequizie del tempo e gli ostacoli che la vita, inevitabilmente, ci mette di fronte.
Una comunità in cui ci sia la certezza, che pur nei limiti delle risorse dei tempi correnti, quando una voce si leva in cerca d’aiuto qualcuno si leverà sempre in soccorso, in aiuto. Una comunità in cui chi è da solo, possa esserlo un po’ meno.
Per fare questo non chiediamo la fiducia promettendo impegni generici, demandando al dopo il perimetro del nostro impegno. Chiediamo fiducia dopo aver costruito una comunità politica larga, arricchita dalle diversità e non impoverita da queste, diversità che accogliamo con fiducia. Un gruppo di lavoro in cui conta, certamente, la qualità della leadership ma che a fianco a questa mette la credibilità di tanti cittadini e cittadine che vogliono prestare il loro tempo e il loro impegno, costruendo un programma non fatto di slogan (sono capaci tutti) ma fatto di proposte serie ispirate da un’idea di mondo.
È molto comodo impegnarsi sulle cose del mondo una volta ogni cinque anni, facendo seguire il deserto nel mezzo: temi come la ricucitura del tessuto sociale, la lotta alla povertà figlia del tempo, i cambiamenti dati dalla mutevolezza del clima e dell’economia (con le ricadute evidenti sulle infrastrutture pubbliche e su come queste debbono funzionare), meritano un impegno costante, a tempo pieno. Così come l’impegno a tempo pieno lo meritano i cittadini e le cittadine di questa comunità.
Noi ci metteremo impegno, costanza, senso della misura. Senza conflitti di interesse e affari di bottega: per fare questo non abbiamo intenzione di proporre un programma fatto esclusivamente da piccole questioni puntuali. Vogliamo proporre un programma creato per obiettivi, sulla falsa riga dell’agenda 2030.
Un programma che non ha intenzione di piacere alle persone facendo leva sulle paure, non un programma per creare consenso a breve termine. Vogliamo proporre un programma, per l’appunto, scritto non tanto per piacere alle persone, ma per persuaderle: della serietà delle proposte, della serietà di chi ha contribuito a scriverlo.
Non un programma fatto da un centro di potere: ma un programma fatto per ridistribuirlo, il potere. Un programma nato innanzitutto per mettere alla prova le nostre capacità di fronte ad obiettivi ambiziosi: una sfida impegnativa che non abbiamo intenzione di rimandare oltre e che, nelle logiche inattaccabili della democrazia rappresentativa, intendiamo vincere. Per le persone che ci accorderanno un sostegno e per le persone che non ci accorderanno fiducia, che contano al pari delle altre.
Un programma nato con un’idea precisa di mondo. E se nella notte ci guidano le stelle, questo programma è la stella che ci illuminerà il cammino in un percorso lungo e impegnativo. Con il convicimento che sarà una strada che percorreremo assieme uniti da un’aspirazione, questa veramente coraggiosa in tempi difficili: la fede incrollabile che il futuro sia un posto in cui andare con fiducia.
Da questo momento in poi, conta il punto in cui siamo e dove vogliamo andare. Venite con noi: non vogliamo abbandonare nessuno sul bordo della strada.
il giorno in cui la musica finì
La notte in cui il nostro mondo è cambiato, noi c’eravamo: eravamo su quel ponte quando l’argine è crollato, quando l’acqua ha invaso campagne, case, aziende, famiglie. Eravamo ai lati di quel ponte quando questo è crollato. Eravamo in mezzo alle migliaia di persone evacuate, eravamo nei centri di accoglienza, creati in poche ore. Ed abbiamo guardato negli occhi le famiglie che in quelle ore hanno perso tutto. Alcuni di noi, erano quelle famiglie. Non ci siamo mai nascosti, non abbiamo mai evitato i problemi, veramente immensi, che l’alluvione ha portato in questi territori. Il nostro impegno è chiaro e semplice: esserci ancora. Con le responsabilità che questo comporta.
L’alluvione ha causato all’Emilia-Romagna quasi 10 miliardi di danni. Dall’appennino alla pianura bolognese, arrivando a sfogare la sua furia in gran parte del territorio romagnolo, c’è stata la più grande precipitazione d’acqua da quando, da numerosi decenni, queste ultime sono rilevate. Questi sono fatti che richiedono una risposta chiara, inequivocabile: non è trattando il clima e le infrastrutture con le categorie del passato che risolveremo i problemi della contemporaneità.
Quante volte abbiamo sentito la frase “ah, come si facevano le cose una volta”: ecco, oggi, se rifacessimo le cose come si facevano una volta ricrollerebbero gli argini, che non devono più essere fatti di materiali esclusivamente sabbiosi, ricrollerebbero i ponti (che non dovrebbero avere i piloni all’interno delle aree golenali, dove i fiumi e i torrenti sfogano la maggior portata di una piena). Va fatta chiarezza: problemi nuovi richiedono soluzioni nuove, moderne, al passo con i tempi.
Se la sicurezza arginale di competenza regionale è stata grandemente ripristinata in tempi celeri con grande movimentazione di uomini e mezzi, allargando la sezione dell’alveo e usando un mix di terreni più performanti, ad oggi le principali problematiche da affrontare sono tre:
- Il ripristino del ponte tra san Martino in Argine e la Motta. Un’opera di competenza metropolitana il cui finanziamento deve arrivare dalla struttura commissariale insediata dal governo. Su questa struttura c’è già un progetto, redatto dalla Città Metropolitana, in attesa di pieno finanziamento da parte del Governo. L’intervento non riguarda solo il ponte, ma anche le opere necessarie all’innalzamento delle rampe d’accesso per consentire al ponte di raggiungere una quota tale per lasciare lo spazio per il passaggio dei mezzi in area golenale. Opere provvisionali che riguardano la movimentazione di centinaia di migliaia di metri cubi di terreno (da qui i costi, complessivi, di 27 milioni di euro). Il nuovo ponte non sarà un’opera posticcia, come ipotizzato da qualcuno: dovrà avere i pilastri esterni agli argini, in modo da evitare rischi in futuro. Sarà a doppia corsia di marcia e non avrà limitazioni di carichi. Avrà una luce di circa 180 metri, molto superiore alle prime ipotesi di strutture temporanee, che arrivavano a coprire un’ampiezza di circa 100 metri (con limitazioni di carico) in assenza di punti di appoggio intermedi. Sarà nostra cura confrontarci con gli enti compenti per la ricostruzione affinché l’iter non subisca intoppi, quando la struttura commissariale finanzierà l’opera.
- Il rimborso dei danni subiti dalle famiglie. Importi che devono essere finanziati dal governo centrale per rimborsare i nuclei famigliari e i danni subiti. Capiamo bene che le strutture governative sono nella difficoltà di reperire i fondi, sicuramente assai corposi, ma ci sono famiglie che non hanno minimamente la disponibilità per iniziare inevitabili lavori di ristrutturazione nella pendenza di queste cifre. A quelle famiglie assicuriamo l’affiancamento dell’ente pubblico nel seguire il complesso iter per richiedere i rimborsi.
- Il ripristino del tessuto stradale ammalorato dai fenomeni alluvionali e dal traffico del cantiere. L’ente comunale ha chiesto e ottenuto oltre tre milioni di euro per il ripristino di Via Canale (tratto comunale), Via Camerone, Via Rotta del Giardino, Via Tagliamenazzo, Via Redenta, Via Durazzo (fino al confine con Medicina), Via Boscosa, Via Barabana (tra via Boscosa e torrente Idice, e da Via Boscosa a Via Rondanina), Via Rondanina (fino al confine con Budrio). Alcune asfaltature dovranno tenere conto dei percorsi del cantiere per il rifacimento del ponte.
Su questi tre macro argomenti ci impegneremo al raggiungimento dei risultati sulle questioni di diretta competenza dell’ente e di facilitare i percorsi degli altri enti coinvolti, laddove la competenza sia la loro, per minimizzare dentro i confini della fattibilità (e della legalità) i tempi di realizzazione e di conseguimento degli obiettivi.
La cura
In questi anni abbiamo assistito al momento di più grande sforzo e sacrificio della sanità pubblica: la pandemia globale, un fenomeno a cui nessuno era preparato e che finora era stato profetizzato solo nella letteratura di genere e nei film di fantascienza. Abbiamo vissuto le conseguenze di questa pandemia sulle strutture pubbliche durante il suo svolgimento, le conseguenze sulle strutture pubbliche dopo il suo svolgimento. Questo incredibile sforzo ha lasciato ferite aperte ben visibili nell’organizzazione e nelle disponibilità con cui la sanità viene vissuta quotidianamente dai cittadini e dalle cittadine nei nostri territori, nella nostra regione, nel nostro Paese.
Queste ferite possono essere cicatrizzate solo prendendo una strada molto precisa: il ripristino ed il rafforzamento della sanità territoriale e i mezzi con cui facciamo prevenzione.
Nella sostanza: riavvicinare la sanità ai cittadini.
Non basta più dire che la sanità emiliano romagnola, secondo tutti i benchmark di valutazione è la miglior sanità a livello nazionale: perché se questa affermazione è certamente vera, e lo è, è parimenti vero che le prestazioni di tutto il sistema sanitario nazionale sono calate in tutto il territorio italiano, in tutte le regioni. Non riteniamo interessante essere i migliori solo perché gli altri fanno peggio di noi. Bisogna invertire una rotta.
La chiave di volta per fare questo sul territorio molinellese è il conseguimento di un importante traguardo: il finanziamento e l’attuale realizzazione (c’è già il cantiere) della casa di comunità che sta venendo edificata sul territorio molinellese. Un finanziamento di quasi 8 milioni di euro con un importo lavori di circa 6 milioni. I fondi, erogati dal PNRR, sono gestiti nella progettazione e nella realizzazione dall’azienda sanitaria locale. Da questo punto di partenza, che rappresenta il più grosso investimento in sanità sul nostro territorio negli ultimi decenni, derivano tutti gli obiettivi seguenti:
- La nuova casa di comunità sarà pronta nel 2026 e al suo interno verranno trasferite le prestazioni che attualmente vengono erogate nell’ex-ospedale. È importante sottolineare come nella nuova struttura siano previsti anche letti per ricoveri di cure intermedie che permetteranno di gestire sul nostro territorio casi clinici ed assistenziali meno complessi;
- Intanto nel centro di medicina generale è stata allargata la fascia di apertura e contiamo, dopo la brusca frenata causata dalla pandemia di riprendere il discorso relativo al potenziamento delle prestazioni specialistiche erogabili dal polo sanitario di Molinella e all’implementazione dei piani diagnostico-terapeutico-assistenziali;
- Prevediamo l’apertura di un CAU (Centro di Assistenza e Urgenza) aperto 24 ore su 24, sette giorni su sette, vero e proprio punto di riferimento per la popolazione e punto di primo intervento per problematiche di prima assistenza a bassa intensità. Questa struttura risponderà all’esigenza di chiunque abbia un problema immediato e la necessità di assistenza senza appuntamento;
- Un tema importantissimo è la riqualificazione dell’attuale polo sanitario poiché con l’apertura della casa di comunità si pone il problema di come gestire gli spazi dell’ex-ospedale. Essendo la struttura molto grande è chiaro che saranno diverse le funzioni e le proposte inerenti alla riqualificazione dell’edificio: la prima è quella di utilizzare gli spazi e i locali per creare “gruppi appartamento” e centri di aggregazione, fornendo un grande aiuto per i soggetti fragili, gli anziani e le persone disabili. Una seconda proposta è la creazione di un centro diurno in collaborazione con l’ASL, rivolta ai medesimi soggetti come luogo di aggregazione, insegnamento, mantenimento delle loro abilità. Una terza proposta riguarda l’adeguamento di una parte della struttura per ospitare un ampliamento delle RSA presenti sul territorio. Queste proposte richiedono un mix di finanziamenti privati e pubblici, laddove con investimento pubblico si intende sia la capacità dell’ente comunale di acquisire parte della struttura sia la capacità del distretto socio-sanitario di modulare nel corso degli anni ulteriori investimenti. Anche la gestione di questi luoghi richiede l’indispensabile collaborazione da parte di fondazioni, istituzioni e realtà associative che già operano sul territorio;
- Vogliamo promuovere iniziative di educazione sanitaria rivolte alla popolazione, in sinergia con l’AUSL, professionisti del territorio pubblici e privati, palestre e centri sportivi al fine di modificare gli stili di vita e ridurre i rischi di malattie cardio-vascolari neoplastiche. Parallelamente è importante istituire corsi di BLSD e di primo soccorso rivolti a cittadini su base volontaria.
i fuochi di amon din
Una comunità non è fatta solo dal rapporto tra cittadini e amministratori: ci sono e ci devono essere dei corpi intermedi che assolvono funzioni necessarie per la comunità. Basti pensare ai recenti fatti alluvionali e alla funzione di tante associazioni atte alla tutela del tessuto sociale e del territorio. Nei prossimi anni si devono rafforzare i legami con le realtà territoriali su obiettivi specifici, che possono variare dal coinvolgimento delle associazioni culturali per le proposte da svolgersi sul territorio, fino al coinvolgimento delle attività economiche per la formazione dei giovani e delle giovani che si affacciano al mondo del lavoro.
Il governo del territorio non è nelle mani della sola pubblica amministrazione: perché una comunità vada avanti c’è la necessità che tanti soggetti possano collaborare alla crescita e alla difesa di una comunità larga. Considerando questo, a seconda degli obiettivi, serve coinvolgere soggetti diversi tra corpi intermedi e attori del mondo associativo e del volontariato. L’ente deve saper accendere un “fuoco” sui nuovi bisogni emergenti che possa essere visto e raccolto dai soggetti che vogliono esercitare un ruolo e una funzione dentro una comunità. Quello che è utile è definire gli obiettivi e di conseguenza definire le azioni (e le collaborazioni) necessarie al loro raggiungimento:
- Sicurezza del territorio: serve rinnovare le collaborazioni con le principali associazioni presenti nel nostro tessuto, a partire dalla riconferma dei contributi per gli affitti della maggior parte delle nuove sedi aperte in questi anni. I soggetti vanno coinvolti all’interno di tavoli di confronto per la realizzazione dei piani di sicurezza strategici in casi di crisi;
- Sicurezza sociale: vanno individuate nuove sedi, adeguate ai requisiti che la contemporaneità richiede, per le associazioni che si occupano di welfare (ad esempio: pubblica assistenza);
- Tenuta del tessuto culturale: vanno coinvolte le associazioni e le realtà presenti sul territorio nella redazione del piano delle iniziative comunali, condizione necessaria per la partnership nella realizzazione degli eventi (Fiera di Molinella, Selva in jazz, etc.). C’è inoltre il tema della Pro Loco, che suscita sempre un dibattito acceso, molto spesso anche sulla testa dei volontari che con pazienza e abnegazione donano una parte del loro tempo per il funzionamento e la realizzazione di iniziative. Bisogna sempre dare informazioni chiare: la Pro Loco di Molinella ha vissuto in questi anni in gran parte di finanziamenti pubblici, raramente di quelli privati. Questo anche per la scelta di non chiedere ai commercianti, dopo le fatiche del periodo pandemico, ulteriori sforzi economici. È però ovvio che se la maggior parte delle iniziative nascono dalle convenzioni in essere con il comune, l’attività tenderà a concentrarsi su quelle iniziative. La strada per rendere la Pro Loco più indipendente dall’agenda che condivide con l’ente pubblico è quella di renderla finanziariamente più autonoma. Ponendosi il problema di dove cercare ulteriori entrate;
- Tenuta del tessuto economico e formazione professionale: va creato un tavolo di confronto permanente con imprese e attività commerciali del territorio (anche per mappare le nuove esigenze). C’è inoltre un discorso molto ampio da fare sulla formazione professionale, che molto spesso rischia di generare un equivoco: si pensa molto spesso che la formazione professionale sia delegata al sistema scolastico. È così solo in parte: in realtà la formazione professionale deve innanzitutto tenere conto di alcune specificità (quali sono le professioni carenti sul territorio, quali sono le professionalità maggiormente richieste, etc). Rimane l’evidenza che la formazione deve essere fatta su obiettivi specifici, anche tramite workshop (e magari: in spazi ad hoc messi a disposizione dall’ente) per recuperare sia professionalità più “antiche”, ma oggi vitali, sia per fare emergere nuove professionalità (la modellazione tridimensionale, l’uso dell’intelligenza artificiale, etc). Ulteriore discorso merita la formazione professionale per l’inserimento nel mondo del lavoro del genere femminile, dove c’è ancora un gap nei numeri (donne con un impiego) e nel salario (non c’è parità salariale).
- Tenuta del tessuto scolastico: rafforzamento della collaborazione con l’Istituto comprensivo e con il Comitato Genitori sulle tematiche che hanno caratterizzato l’attività di questi anni a partire dalle iniziative di sensibilizzazione e informazione sui DSA fino ad arrivare a quelle sui modelli di sana alimentazione e buone pratiche.
Difendere la democrazia, difendere le istituzioni
In questi anni abbiamo assistito, una crisi dopo l’altra (dal terremoto alle alluvioni, passando per i conflitti alle porte dell’Europa), ad un progressivo peggioramento non solo delle condizioni degli enti locali e del sistema Italia, ma anche al progressivo peggioramento del rapporto tra cittadini ed istituzioni. Questo non avviene per caso: oltre ad un contesto di crisi permanente c’è anche chi butta benzina sul fuoco, chi lavora al servizio del caos, dall’imbarbarimento del dibattito pubblico fino alla sistematica delegittimazione di chi opera all’interno di incarichi istituzionali. Lavorare per ripristinare delle regole di civile convivenza è uno degli impegni centrali della nostra azione politico-amministrativa.
Attenzione, le istituzioni vanno difese perché sono la garanzia e il bastione del funzionamento democratico del paese. Il loro indebolimento è figlio dei tempi: ci è chiaro che quando per lungo tempo situazioni di crisi economica, sociale, politica e climatica hanno indebolito la capacità di risposta dei governi nei confronti dei cittadini in tutta Europa sono comprensibili i fenomeni di scollamento tra le comunità e i governi che le dovrebbero rappresentare. Tutto si riassume nel fatto che allargandosi la sfera dei bisogni, quando questi non vengono integralmente soddisfatti, si creano le condizioni del contesto attuale, tanto in Italia come in Europa. A questo si aggiunge che sono spesso le amministrazioni locali, quelle che hanno fattivamente meno poteri, a doversi confrontare direttamente con la cittadinanza, molto spesso su problematiche in cui non hanno reale capacità e responsabilità d’intervento.
Tuttavia questa non è l’unica criticità visibile: ci pare evidente che l’imbarbarimento del dibattito pubblico, sia nei luoghi istituzionali sia nelle piazze digitali, sia un fenomeno largamente fomentato e incentivato da chi confida di lucrare un po’ di consenso. Chiaramente questa è una sciocchezza perché quando si asseconda la delegittimazione delle istituzioni si apre un processo che diventa inarrestabile. E molto spesso assistiamo a fenomeni politici in cui il consenso cresce e cala altrettanto rapidamente. Se non si danno ai cittadini i giusti parametri di valutazione, poi non è che questi ultimi cambiano il loro modo di giudicare secondo il cambio dei governi. Detto in parole povere: chi vuole cavalcare una tigre affamata si dovrà porre il problema che prima o poi da quella tigre dovrà scendere.
La soluzione per noi è non affamare la tigre: vanno date ai cittadini le giuste informazioni per comprendere il funzionamento delle istituzioni e della macchina amministrativa di un Comune. Questo richiede uno sforzo molteplice perché oggi spiegare le scelte e i funzionamenti vuol dire agire su più campi, utilizzando sia gli strumenti tradizionali sia quelli che si stanno facendo largo negli ultimi decenni (la comunicazione digitale).
A questo c’è da aggiungere una considerazione: le informazioni che un’istituzione fornisce debbono poi essere comprese ed elaborate da chi le riceve. È chiaro che se in alcuni casi mancano le precondizioni per comprendere a pieno alcune informazioni, c’è il rischio che queste non siano recepite.
Può un’istituzione non rendersi conto che la mancanza di comprensione delle informazioni non è solo un problema di chi non ha gli strumenti per elaborarle ma è anche il problema di tutta una comunità? No, è un fatto che non si può ignorare. E allora bisogna fare un discorso ripartendo sempre dalle basi: quand’è che possiamo fornire ad un numero più largo di persone possibili gli strumenti per meglio capire come funziona la macchina pubblica (lo stato degli enti locali ) e, contestualmente, la capacità di elaborare e ricevere informazioni su questi argomenti? Questo può avvenire quando ognuno è già dentro al proprio percorso individuale? Con molte difficoltà.
Se oggi noi vogliamo ricostruire istituzioni solide migliorando il rapporto tra queste ultime e i cittadini, dobbiamo investire di più nella formazione di una comunità consapevole quando i suoi membri sono ancora tutti assieme, quando è più facile dare informazioni che diventano patrimonio comune. Quando avvengono queste condizioni? La risposta è semplice: tra le mura della scuola.
Questa è l’unica via per lavorare su una comunità futura che sia più consapevole del punto in cui si trova, sia più consapevole dei doveri che gli enti hanno nei confronti dei cittadini e dei diritti che si possono reclamare, sia più consapevole delle proprie responsabilità individuali e, al contrario di quanto sostengono alcuni cattivi maestri della contemporaneità, delle responsabilità collettive (che esistono, esistono eccome).
Questo vuol dire oggi riparare il linguaggio del dibattito pubblico, questo vuol dire difendere le istituzioni, questo vuol dire difendere la democrazia rappresentativa.
Città e comunità sostenibili
L’edilizia non è in crisi solo perché dopo la crisi del 2009/10 sono venute meno alcune delle condizioni su cui si poggiava questo mercato: l’edilizia è in crisi perché una parte di questo mondo non ha ancora pienamente compreso che i temi che l’attualità ci ha messo davanti agli occhi, a volte con conseguenze devastanti, sono inevitabili e vanno affrontati. Questo porta ad una doppia responsabilità: le pubbliche amministrazioni devono capire che contare sugli oneri di urbanizzazione per risolvere i propri problemi di bilancio è l’equivalente del doping, mentre il mondo delle costruzioni, che è e rimane fondamentale per la nostra comunità e per il suo tessuto economico, deve cambiare in parte i suoi obiettivi. Il futuro è (anche) la rigenerazione urbana.
Una volta le pubbliche amministrazioni contavano molto sugli oneri di urbanizzazione: poco contava che assieme agli oneri si aumentava il fabbisogno in spese manutentive, dato che tutte le volte che si acquisisce a patrimonio pubblico una strada, un’area verde, un comparto illuminato pubblicamente, opere che normalmente il pubblico prende in carico a seguito di un accordo urbanistico con un operatore economico privato, queste dopo vanno curate e tenute, con spese crescenti a carico dell’ente, di anno in anno. Nella sostanza, quando si conta sugli oneri per fare cassa (anche se da qualche anno non possono più essere messi a finanziare la parte corrente del bilancio) si aumenta il fabbisogno: solo che gli oneri su una singola opera li incassi una volta, le manutenzioni le dovrai pagare in eterno.
Per molti anni questa coperta, assai corta, ha legittimato l’uso di una scorciatoia, se incassare oneri generava nuovi fabbisogni, i nuovi fabbisogni venivano coperti dall’ingresso di nuovi oneri. Un gigantesco effetto a cascata basato su tre illusioni: innanzitutto che la crescita fosse potenzialmente infinita, convincimento che ha riguardato molti dagli anni ’80 alla fine degli anni ’00. La seconda: che costruire senza una misura non avesse conseguenze sugli equilibri di questi territori. Un terreno impermeabile (costruito, quindi) scarica le acque precipitate molto più velocemente rispetto a un terreno che assorbe le precipitazioni: consumare il suolo senza misura ha molto a che fare con gli eventi alluvionali recenti. La terza illusione: che allargare la popolazione portasse nuove entrate. O perlomeno: che le nuove entrate superassero le nuove spese. Questo era vero negli anni ’90 o nei grandi centri urbani. Ecco, diamo una notizia: non siamo negli anni ’90 e la maggior parte delle persone in Italia vive in provincia.
Ecco perché il modello deve cambiare: bisogna pensare al recupero, a fenomeni di rigenerazione urbana. Attenzione: questo non vuol dire che le nuove costruzioni non hanno senso in assoluto. Mettere le mani su edifici vecchi e ormai del tutto inadatti alle funzioni a cui sarebbero chiamati alle volte è del tutto impossibile se si pensa a condizioni di accessibilità, consumi, adeguatezza degli spazi. Questo vale sia per gli edifici pubblici che per il settore residenziale. Tuttavia è utile definire alcuni casi studio, su cui ci dobbiamo concentrare:
- I caseggiati in Via Morgone a Marmorta, di proprietà pubblica e gestiti da Acer. Lavori di consolidamento del coperto hanno fatto emergere problematiche corpose nelle singole unità abitative che ne rendono impossibile la riassegnazione. Può l’ente pubblico pensare oggi a un finanziamento complessivo per il recupero di tutti gli alloggi? No, sarebbe stata un’operazione onerosa anche 30 anni fa (si parla di milioni di euro). Si può invece realizzare una manifestazione d’interesse per individuare un soggetto privato che potrebbe svolgere i lavori perequando l’importo in cambio di un numero di appartamenti di pari valore. Questo porterebbe a due conseguenze: il ripristino del decoro di tutta l’area, il recupero da parte dell’ente di una parte degli alloggi già ristrutturati;
- Il centro storico di Alberino, la ricostruzione dopo la demolizione. In questi anni, pur nelle difficoltà di una burocrazia che spesso ha rallentato l’operazione (sovrintendenza, etc), è stata abbattuta la grande parte della proprietà pubblica del vecchio centro storico collabente che costituiva un problema igienico sanitario, oltre che di sicurezza. Ad oggi va completata l’ultima fase, cioè la ricostruzione, all’interno di una partnership con i privati che hanno mostrato interesse a ricostruire l’area. Discorso diverso per quanto riguarda l’ex proprietà della fondazione Fiorini/Genovesi, la cui ristrutturazione va messa gradualmente nelle more del budget di Acer per il recupero degli edifici (attualmente gli stabili sono di proprietà pubblica, ma gestiti per l’appunto da Acer);
- San Martino, allargamento della ristrutturazione del centro civico: questa operazione è il completamento di un’operazione che ha già recuperato il piano terra, con la gestione di un’associazione del luogo a coordinamento delle attività. Recuperare la parte superiore dell’immobile ha un costo che sta sul centinaio di migliaia di euro. Potrebbe essere messo all’interno di un bando di finanziamento finalizzato alla rigenerazione urbana, in modo da elidere fortemente le spese in capo all’ente.
Altro grande tema è la valorizzazione del verde pubblico: Molinella ha alti standard di presenza del verde sia nel capoluogo sia in molte frazioni. Per migliorare la fruizione di questi spazi vanno fatte alcune operazioni che possiamo così sintetizzare:
- Permane la necessità di creare una zona che faccia da polmone verde al capoluogo: c’è un progetto di riqualificazione molto consistente del Parco delle Mondine perché diventi un centro di aggregazione forte per la comunità;
- Serve sviluppare le singole aree verdi immaginandosi quale sia la funzione che vogliamo assegnarsi. Facciamo un esempio: se si individua il parco dei ragazzi del ’99 come luogo di ritrovo per gli adolescenti, è chiaro che lo sviluppo di quell’area deve essere coerente con questa scelta;
- Serve seguire lo sviluppo, finanziato dal PNRR, del progetto di riqualificazione dell’area verde a fianco alla Casa Comunale, che dovrà essere completata entro la metà del 2026;
- Bisogna inserire alcune aree verdi attrezzate e fruibili laddove non sono presenti e dove c’è difficoltà a raggiungere aree posizionate in altri siti (ad esempio, Miravalle);
- Serve fare un’operazione complessiva di riqualificazione dell’arredo urbano, partendo però dal concetto di riuso e di restauro dell’esistente.
Ridurre le disuguaglianze
Le crisi economiche, sanitarie, climatiche che si sono susseguite in questi anni hanno lacerato il tessuto sociale. Le conseguenze le misuriamo quotidianamente in ogni attività con cui ci dobbiamo confrontare. È urgente lavorare per ridurre le disuguaglianze partendo dai bisogni primari: fornire sostegno e chi non è autonomo e mezzi a chi ne è momentaneamente sprovvisto.. In parole povere, vogliamo creare un piano per i bisogni di base: il sostentamento, la formazione, il lavoro, la casa.
In questi anni abbiamo lavorato per sostenere le associazioni che distribuivano generi alimentari sul territorio: crediamo che i tempi siano maturi per fare un passo in più, creando una vera e propria bottega solidale. Un luogo dove fornire supporto ai cittadini che vivono un periodo transitorio di difficoltà, dando la possibilità di reperire al suo interno e a titolo gratuito beni di consumo di prima necessità.
Per poter intervenire sulle fragilità, queste prima vanno mappate, per capire quali nuovi bisogni stanno emergendo. Uno strumento può essere la creazione di un punto di ascolto dedicato. Solo così si può intervenire con interventi mirati affinché la condizione di fragilità possa essere superata. Abbiamo già parlato nel terzo capitolo di questo programma di come sia necessario un investimento in formazione affinché alcune condizioni possano essere transitorie.
Vogliamo inoltre istituire una banca ore a favore delle condizioni di necessità di alcuni cittadini e cittadine: ovvero dare la possibilità alla comunità che lo desidera di dedicare una parte del proprio tempo libero, naturalmente organizzato secondo le esigenze specifiche, a chi ha bisogno di aiuto o di assistenza nello svolgere determinate attività. Questa iniziativa va allargata alle associazioni e alla realtà sportive che svolgono attività con anziani e disabili.
Bisogna dare continuità agli interventi di social housing che negli ultimi anni hanno creato alcune decine di appartamenti a canone convenzionato venendo incontro a quella che, stante la fase storica che stiamo vivendo, è diventata una vera e propria emergenza su tutto il territorio nazionale: la necessità di trovare un’abitazione a prezzi accettabili.
Ci sono inoltre alcune categorie su cui serve un ragionamento ulteriore: la prima è quella degli anziani, dato che l’età media della popolazione per molti anni, qui come in tutta Italia, è destinata a spostarsi in avanti: come poter garantire assistenza a un numero crescente di anziani. E così come c’è una generazione che invecchia, ce n’è una che cresce e che non sempre comprendiamo: sulle esigenze dei ragazzi e delle ragazze del nostro territorio non sempre c’è la perfetta comprensione che le abitudini e i costumi cambiano e si evolvono. Continuare a pensare che queste generazioni debbano rientrare negli schemi delle abitudini delle generazioni precedenti è un errore. Un’esigenza che emerge sempre nei confronti è la necessità di creare dei nuovi punti di ritrovo, accessibili e attrezzati per poter gestire i nuovi bisogni.
Confermiamo il nostro impegno a collaborare con le autorità sanitarie locali (ASL) e il settore privato per sviluppare e implementare servizi specialistici a sostegno delle persone con disabilità nel nostro territorio. Mediante partenariati strategici e accordi di collaborazione, ci adopereremo per introdurre centri specialistici che rispondano alle diverse esigenze delle persone con disabilità, riducendo così la necessità di spostamenti e garantendo un accesso più agevole a cure e servizi di alta qualità. Questo sforzo mirato contribuirà significativamente a migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità nel nostro comune, promuovendo al contempo una maggiore inclusione e partecipazione nella vita sociale e comunitaria.
Proseguiremo il progetto avviato sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità all’interno delle aziende del territorio. Attualmente, disponiamo di una mappatura preliminare e stiamo fornendo ai nostri concittadini corsi specifici integrativi per arricchire ulteriormente la loro formazione, parallelamente agli studi svolti nelle scuole. Inoltre, riconosciamo l’importanza di strutturare percorsi dedicati al ‘dopo di noi’ e all’autonomia delle persone con disabilità. A tal fine, ci impegniamo a sviluppare e implementare tali percorsi, garantendo un sostegno adeguato per consentire una transizione armoniosa verso una vita indipendente e autonoma per tutte le persone con disabilità nel nostro territorio.
Va inoltre rivolta più attenzione a chi sui nostri territori (e non solo sui nostri territori) subisce azioni violente: per questo è necessaria la creazione di un presidio antiviolenza per garantire un luogo sicuro a chi ne ha la necessità. La soluzione potrebbe essere nella riconversione a tale scopo di un appartamento del patrimonio abitativo di proprietà pubblica attualmente gestito da Acer.
Serve la creazione anche di un presidio di supporto psicologico per persone in difficoltà, convenzionando l’ente pubblico con alcuni professionisti del settore.
Sulle disuguaglianze va inoltre fatto un ragionamento territoriale, prendendo in esame i servizi erogati dal comune legandoli alla loro presenza nei luoghi più distanti dal capoluogo. In questi anni sono stati garantiti servizi di pre e post scuola nelle frazioni indipendentemente dal numero degli iscritti, sono state fatte tariffe agevolate per chi iscrive i figli ai servizi nelle frazioni stesse, in alcune è stato inserito il tempo potenziato che de facto è un tempo pieno. Non possiamo permetterci di fare passi indietro su questo versante, a meno che non si desideri centralizzare tutto per risparmiare: quello che dobbiamo spiegare sempre, spiegare a tutti è che se chiude una scuola in una frazione, equivale a chiudere la frazione. La tenuta dei servizi nelle frazioni è prioritaria rispetto ad ogni altro campo d’intervento nelle frazioni stesse, così come la tenuta plessi scolastici. In un regime di risorse ridotte asfaltare due strade in più chiudendo i servizi nelle frazioni, equivale ad ammazzare i piccoli centri. Noi questo non lo vogliamo.
Sulla tariffazione dei servizi bisogna continuare a inserire un maggior numero di fasce ISEE nelle rette, per garantire una maggior progressività, a seconda delle possibilità delle singole famiglie, nella determinazione della retta.
Da un punto di vista infrastrutturale va continuata l’opera di abbattimento delle barriere architettoniche realizzando un vero e proprio piano (il PEBA, piano abbattimento barriere architettoniche).
40 km
Gli investimenti del PNRR sul territorio rappresentano un’occasione di crescita unica per il nostro comune: il nuovo centro sportivo, la nuova casa di comunità, la nuova scuola dell’infanzia rappresentano la più grande espansione di servizi territoriali da decenni a questa parte. Ma non è solo una questione di servizi: quando un luogo grazie alla sua crescita infrastrutturale può diventare con maggior forza un punto di riferimento non solo per il suo territorio, ma anche per quelli limitrofi, questa condizione può generare un volano per la crescita economica e per la capacità attrattiva del nostro paese.
Non è facile vivere a 40 km da tutto: molti comuni vicini ai vari capoluogo di provincia possono permettersi di non avere quel servizio, di non realizzare quella particolare infrastruttura. La soluzione è sempre lì vicina: a pochi chilometri la presenza di una città risolve tutto. Qui non è così. Se vengono meno gli spazi per fare sport, in seguito alla crescita della popolazione praticante attività sportiva, noi non possiamo delegare a Bologna o Ferrara il surplus di richieste. Lo stesso vale per mille altri esempi: certo, è più facile che si possa fare qualche chilometro in più per andare al cinema. Ma quanti poi ci vanno davvero, quando ci si deve far carico di un nucleo famigliare, coprire una certa distanza, tornare indietro…
La verità è che il nostro territorio ha sempre avuto l’obbligo di avere un po’ tutto, a livello di possibilità, per colmare il gap della distanza dai grandi centri con soluzioni locali. Per questo quando si parla di infrastrutture legate alla sanità, allo sport o alla scuola si sta parlando di argomenti più centrali che altrove. Questa è stata la battaglia sul PNRR di questi anni: progetti che vanno seguiti, monitorati, quasi accuditi, anche in funzione delle norme che il PNRR mette sulla realizzazione di questi edifici (devono essere pronti per la metà del 2026). Questo è un risultato che si da, sbagliando, per scontato: far giungere a completamento un cantiere (e in maniera soddisfacente) richiede una grande conoscenza della macchina pubblica.
Anche in considerazione di questo dobbiamo fare alcune considerazione sulle strutture che devono essere potenziate sul nostro territorio: la prima è quella riguardante la necessità di avere ulteriori strutture sportive coperte. L’area di intervento è quella davanti all’attuale palazzetto dello sport di Molinella, dove la priorità è creare un ulteriore campo per dare più disponibilità e spazi alle società sportive.
Sulle infrastrutture culturali bisogna avere come orizzonte la partecipazione al bando regionale, che esce periodicamente, per la sistemazione dei teatri: è la strada per realizzare l’ultimo stralcio del cinema teatro Massarenti e aprire anche la galleria e i piani superiori dell’ingresso monumentale.
Un discorso molto complesso è quello che riguarda la mobilità: abbiamo già acquisito che una parte consistente della stazione sarà rifatta. È un ottimo punto di partenza perché l’attuale infrastruttura dava un servizio inefficace ai pendolari. Ma ad oggi il problema è la sopravvivenza del servizio in questi anni in cui la manutenzione della linea e le opere di interramento ne hanno reso meno funzionale l’utilizzo. C’è un lavoro di monitoraggio da fare per quanto riguarda la puntualità degli scambi tra mezzi nella continuità tra treno e corriera, così come abbiamo già proposto nelle sedi competenti delle agevolazioni tariffarie per i pendolari dei territori più colpiti dalle interruzioni del servizio in seguito ai cantieri programmati.
Tuttavia, per quanto sia strategico il collegamento su ferro non possiamo sottovalutare lo stato dell’arte del collegamento su gomma, con un ragionamento strategico e uno manutentivo: quello strategico riguarda l’accesso a una arteria di traffico più strutturata: la condicio sine qua non affinché questo avvenga è che innanzitutto sia completata la trasversale di pianura. Le cose vanno messe in fila senza prendere in giro i cittadini: per noi è strategico avere accesso alla trasversale ma è irrealistico pensare che questo avvenga se non nel contesto chiaro di un completamento di quest’opera. Ed è per questo che deve rimanere stretta la collaborazione con le municipalità di Budrio e Medicina.
Sul tema manutentivo, serve fare una distinzione tra strade provinciali e comunali: le provinciali di competenza della Città Metropolitana di Bologna verranno in larga parte asfaltate in questa primavera. Per le strade comunali abbiamo richiesto che la nostra quota parte dei Fondi Sviluppo e Coesione (circa un milione di euro) possa essere impiegata per lavori di manutenzione e asfaltature sulle strade comunali. Questi fondi arriveranno presumibilmente nel biennio 25/26. Nel 24 avremo invece la disponibilità per iniziare i lavori di ripristino sulle strade indicate alla struttura commissariale come ammalorate nel post alluvione (circa 3 milioni di euro, vedere il primo capitolo del programma).
Energia, clima, consumo: un nuovo equilibrio
Viviamo tempi incredibilmente complessi, come lo sono tutti i tempi in cui dei cambiamenti scuotono inevitabilmente il nostro stile di vita, la relazione con le persone e l’ambiente che ci sta attorno, la relazione con fenomeni apparentemente lontani che però in realtà incidono in maniera incredibilmente segnate sul nostro presente e il nostro futuro. Le politiche di un ente pubblico riguardanti il cambiamento del clima, la necessità di adeguare gli edifici pubblici e privati a nuovi standard, la necessità di promuovere una mobilità più sicura e diversa, devono saper cogliere il segno dei tempi che cambiano. Non utilizzando slogan, ma spiegando come si fa.
Molinella è sempre stato un luogo in costante evoluzione. Tuttavia, mentre guardiamo al futuro con speranza e ambizione, non possiamo ignorare la necessità cruciale di preservare il nostro patrimonio più prezioso: i nostri edifici pubblici e le nostre scuole.
Gli edifici scolastici di Molinella e delle sue frazioni affrontano sfide significative a causa dell’età avanzata e dell’inefficienza energetica e strutturale. Queste istituzioni, che dovrebbero fungere da fari di conoscenza e innovazione, si trovano invece a lottare con infrastrutture obsolete e costi energetici insostenibili.
Sosteniamo che sia di vitale importanza di trasformare queste sfide in opportunità. Il nostro impegno per la riqualificazione degli edifici pubblici, con particolare attenzione alle scuole, non solo mira a migliorare l’efficienza energetica e a ridurre i costi a lungo termine, ma anche a creare ambienti sicuri, salubri e stimolanti per i nostri studenti e il nostro personale.
In questo contesto, è cruciale affrontare non solo le questioni legate all’efficienza energetica, ma anche quelle relative alla sicurezza strutturale. L’inefficienza energetica degli edifici pubblici, inclusi gli istituti scolastici, non solo rappresenta un onere finanziario a lungo termine per la comunità, ma compromette anche il nostro impegno per la sostenibilità ambientale.
È imperativo, quindi, adottare misure concrete per promuovere l’efficienza energetica e ridurre l’impatto ambientale delle nostre scuole, assicurando contemporaneamente la loro sicurezza strutturale.
Attraverso un programma di riqualificazione degli edifici pubblici, ci impegniamo a implementare interventi mirati, tra i quali:
- Adeguamento sismico: Interventi strutturali mirati per garantire la resistenza sismica degli edifici scolastici, proteggendo la vita e l’incolumità degli occupanti in caso di eventi sismici.
- Isolamento termico: Interventi di isolamento termico delle pareti esterne, dei solai e dei tetti per ridurre le dispersioni di calore e migliorare il comfort termico all’interno degli edifici scolastici.
- Sostituzione degli infissi: L’installazione di infissi ad alta efficienza energetica, dotati di vetri a bassa emissività, per ridurre le perdite di calore attraverso porte e finestre.
- Efficientamento degli impianti termici: L’aggiornamento degli impianti di riscaldamento, ventilazione e condizionamento per ridurre i consumi energetici e migliorare la qualità dell’aria interna agli edifici.
- Impianti fotovoltaici: L’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti delle scuole per generare energia pulita e ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche tradizionali.
- Impianti solari termici: L’installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria, riducendo così il consumo di energia elettrica o gas.
- Building automation: Implementazione di sistemi di building automation per il controllo centralizzato e l’ottimizzazione di consumi energetici, migliorando l’efficienza energetica degli edifici.
Questi interventi non solo contribuiranno a ridurre i costi energetici a lungo termine, ma miglioreranno anche il comfort degli ambienti di apprendimento, ridurranno l’impatto ambientale complessivo delle nostre scuole e garantiranno la sicurezza strutturale necessaria.
Finanziamento delle opere
Il Conto termico
Il conto termico è uno strumento nazionale, accessibile a chiunque, per la riqualificazione energetica degli edifici. Una parte del fondo a disposizione è rivolto unicamente alla pubblica amministrazione, e presenta condizioni più favorevoli (in termini di percentuale di contributo e di tipologie di interventi che possono essere finanziati) rispetto allo strumento equivalente per privati cittadini e imprese. Il Conto Termico finanzia fino al 65% delle spese sostenute per gli interventi di manutenzione sull’involucro e sugli impianti degli edifici che ne incrementano l’efficienza energetica.
Tra gli interventi che permettono l’accesso agli incentivi sono inclusi:
- il miglioramento dell’isolamento termico dell’involucro edilizio;
- la sostituzione di infissi e pannelli vetrati con altri a minor dispersione termica e introduzione di schermature;
- la sostituzione dei sistemi per l’illuminazione con sistemi più efficienti;
- la sostituzione dei sistemi per la climatizzazione con tecnologie ad alta efficienza;
- la produzione di energia termica da fonti rinnovabili;
- l’introduzione di sistemi avanzati di controllo e gestione dell’illuminazione e della ventilazione.
Il Conto Termico prevede incentivi che variano dal 40% al 65% della spesa sostenuta.
Nello specifico:
- fino al 65% per la demolizione e ricostruzione di edifici a energia quasi zero (nZEB);
- fino al 40% per gli interventi di isolamento delle pareti e coperture, per la sostituzione di chiusure finestrate con altre più efficienti, per l’installazione di schermature solari, per la sostituzione dei corpi illuminanti, per l’installazione di tecnologie di building automation e per la sostituzione di caldaie tradizionali con caldaie a condensazione;
- fino al 50% per gli interventi di isolamento termico nelle zone climatiche E/F e fino al 55% nel caso di isolamento termico e sostituzione delle chiusure finestrate, se abbinati ad altro impianto (caldaia a condensazione, pompe di calore, solare termico);
- fino al 65% per la sostituzione di impianti tradizionali con impianti a pompe di calore, caldaie e apparecchi a biomassa, sistemi ibridi a pompe di calore e impianti solari termici.
Inoltre il Conto Termico è cumulabile con altri incentivi di natura non statale e nell’ambito degli interventi precedentemente indicati. Finanzia inoltre il 100% delle spese per la Diagnosi Energetica e per l’Attestato di Prestazione Energetica (APE) per le PA (e le ESCO che operano per loro conto) e il 50% per i soggetti privati e le cooperative di abitanti e quelle sociali.
Va notato che storicamente il conto termico è uno strumento di finanziamento sotto-utilizzato, soprattutto dalla pubblica amministrazione. Questo fornisce una discreta garanzia relativa alle probabilità di ottenere effettivamente il finanziamento.
Finanziamenti Emilia-Romagna
Tramite lo strumento dei POR-Fesr (Programma regionale – Fondo europeo per lo sviluppo regionale) la regione Emilia-Romagna emette regolarmente bandi con lo scopo di finanziare interventi di efficientamento energetico nella pubblica amministrazione. La percentuale massima e l’importo massimo di contributo variano in funzione della combinazione degli interventi come di seguito specificato:
- solo efficientamento energetico dell’edificio: 70%
- efficientamento energetico dell’edificio con installazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabili: 70%
- uno dei due casi precedenti abbinato al miglioramento/adeguamento sismico: 80%
Il contributo massimo nei casi di cui alle precedenti lett. a) o b) è pari a 1.400.000,00 euro. Qualora il progetto preveda anche interventi di cui alla lettera c), il contributo massimo è pari complessivamente a 2.000.000,00 euro. (DGR 128/2023).
Questi finanziamenti sono cumulabili con quelli del conto termico, quindi si può arrivare al finanziamento del 100% delle spese.
La mobilità sostenibile
Un altro tema fondamentale è l’incentivazione della mobilità sostenibile, partendo da alcune considerazioni: tutti noi sappiamo che la via principale per ridurre l’utilizzo dell’automobile è uno sviluppo forte e coerente del trasporto pubblico. E conosciamo bene le difficoltà di questi anni, in cui la linea ferroviaria è stata protagonista di continue operazioni di manutenzioni e in cui le principali vie di comunicazione su gomma hanno subito le conseguenze dell’alluvione. Tuttavia bisogna rendere possibili gli spostamenti con mezzi e modalità alternative: non solo perché lo riteniamo funzionale per un modello in cui l’auto viene ragionevolmente usata di meno, ma perché lo riteniamo giusto nei confronti di uno stile di vita più sano e sostenibile.
I collegamenti ciclopedonali e i cicloturistici realizzati in questi anni hanno avuto un obiettivo che deve continuare a essere perseguito: facilitare il raggiungimento a piedi o in bicicletta dei principali centri nevralgici della città (le scuole, i luoghi dello sport, le aree verdi) e facilitare il collegamento tra le frazioni e il capoluogo (come avvenuto con San Pietro Capofiume, in seguito alla realizzazione del percorso cicloturistico e al completamento del sottopasso ciclopedonale in Via Oriana Fallaci).
Questo discorso afferisce anche a come intendiamo lo sviluppo dell’urbanistica locale: deve essere prioritario nelle addizioni che verranno fatte in futuro prevedere percorsi di collegamento che si innervano nella rete già esistente. Ma non c’è solo un discorso sulla necessità di provvedere a rendere prioritari queste opere all’interno dello sviluppo della città: c’è un tema anche su come queste devono essere realizzate con percorsi protetti, eventualmente separati dal percorso stradale (come in tante esperienze europee). Oltre alle necessarie considerazioni su come alcuni parti del tessuto urbano, in determinate fasce orarie, vadano pedonalizzate. A tal fine vorremmo muoverci partendo da questi spunti:
- c’è già un progetto per cambiare radicalmente il volto delle aree attorno alle scuole elementari e medie di Molinella partendo dalla riqualificazione di Via Paolo Fabbri: il costo dell’opera è di circa 1.300.000 euro ed è già stata inserita in un bando di finanziamento regionale. Questo progetto mira a rendere più fruibile l’area e più accessibili le strutture;
- si deve continuare a investire nel collegamento tra le frazioni e il capoluogo, completando il collegamento con Marmorta tramite il raccordo tra i tratti già esistenti e la creazione di un percorso in via Romagne. Altro tema prioritario è il collegamento tra San Martino in Argine e Miravalle, primo step necessario per avvicinare quel lato del territorio al capoluogo (ed eventuali ramificazioni su Guarda). Anche in questo caso le opere devono essere inserite in un canale di finanziamento tramite bando regionale o governativo;
- è già stata sviluppata una rete di percorsi protetti nei pressi dei principali edifici pubblici destinati all’utilizzo scolastico e sportivo: vanno raccordati con i percorsi ciclopedonali più esterni per non dare soluzione di continuità.
Alcune considerazioni sull’agricoltura
Veniamo da mesi in cui la sostenibilità di tutto l’universo che gira attorno alla sostenibilità dell’agricoltura italiana ed europea è tornata al centro del dibattito pubblico per via delle numerose proteste portate avanti da operatori del settore, associazioni di categoria e più in generale da tutto un comparto.
Noi crediamo che in questi momenti vada detta innanzitutto la verità: non sarà con poche migliaia di euro (in totale) che un ente pubblico mette a disposizione di centinaia di attività presenti sul territorio che questa situazione cambierà: c’è una crisi diffusa nonostante il 25/30% del bilancio europeo venga destinato a contributi per l’agricoltura, e si sta parlando di miliardi di euro. Il vero problema è il deficit di competitività che le nostre aziende (e in questo caso intendiamo: europee), pagano nei confronti delle merci coltivate con regole diverse, con meno rispetto della filiera e dell’ambiente, merci poi introdotte nei nostri mercati a prezzi più bassi, con una qualità più bassa. Il tema però non è abdicare alla qualità e ai controlli sui prodotti coltivati qui, né al rispetto per l’ambiente: la questione centrale è mettere dei filtri ai prodotti che queste garanzie non le danno. E questo, credeteci, non è un problema che risolve su base comunale, regionale o nazionale. A stento basta la dimensione europee. Ma credeteci, le soluzioni per l’agricoltura sono solo due: regole condivise o alternativamente barriere per le merci che quelle regole non le rispettano. Tertium non datur.
le inevitabili conclusioni
Alcune concetti è meglio chiarirli, pur in conclusione: realizzare un programma non è mai lo sforzo individuale di una sola persona, ma il lavoro di un collettivo, di una squadra. Anche perché dobbiamo partire da un’evidenza: nessuno può sapere molto di tutti gli argomenti. Ognuno mette al servizio di una comunità più vasta il proprio percorso, la propria professionalità, magari in maniera specifica su un singolo settore. Molto più importante chiarire un ulteriore concetto: la necessità che tutti i singoli contributi vadano nella stessa direzione e contribuiscano a disegnare una struttura con una sua coerenza.
La tentazione quando si scrive un programma è quella di considerare centrale il proprio pezzo di mondo e considerare completamente marginale tutto il resto. Ci sono dei motivi per cui chi si improvvisa amministratore, provenendo da altre professioni, spesso è in difficoltà: si tende a considerare centrale solo l’orticello di casa propria. Serve spiegare a un operatore culturale che senza il tessuto produttivo, non ci sarebbero i fondi per la cultura. Che fa il paio con chi viene dall’artigianato e magari pensa che i soldi investiti in cultura siano buttati. Sono degli esempi estremizzati, d’accordo, ma servono a far capire un concetto: tutto si tiene, senza una visione d’assieme in cui provi a tener dentro tutto una pubblica amministrazione perde la sua ragion d’essere, la sua visione, la sua efficacia.
Altrettanto chiaro che quando si scrive un programma si fa uno sforzo cosmologico, sia nel declinare le idee sia nell’immaginarsi gli eventuali lettori, di quel programma. Le idee partono sempre (o perlomeno, dovrebbero) dall’immaginarsi un mondo come sarà. Certo, tutti noi operiamo nel presente. Ma se non avessimo chiara una prospettiva di futuro, faremo fatica a muoverci. D’altronde cos’è il futuro se non una direzione, una meta, alle volte un miraggio. Il futuro non lo raggiungi mai, ma intanto mentre provi di accorciare una distanza ti muovi, cammini, alle volte corri. Il movimento, nella vita di tutti noi, è vita. Anche quando talvolta prendiamo la direzione sbagliata e siamo costretti a tornare indietro per poi riprovare in un’altra direzione.
Poi serve immaginarsi, per l’appunto, chi dovrà leggere un programma. Nell’augurio che lo leggano quante più persone possibili, senza escludere nessuno, la scrittura di un programma disegna alcune caratteristiche, tratteggia una direzione su cosa vorremmo che la cittadinanza padroneggiasse con facilità e confidenza crescente. Un programma non solo disegna delle proposte, ma disegna anche la comunità che vorremmo.
A tale scopo è utile esplicitare una cosa per noi essenziale: sappiamo che i cittadini saranno esigenti con noi e quindi anche noi vogliamo esserlo: per questo non vogliamo prendere in giro nessuno, per questo cerchiamo di spiegare cose difficili senza ridurre tutto a slogan o a frasi talmente liofilizzate da non vuol dire più niente. Dal “meno tasse per tutti” sono passati 30 anni: e se l’originale ruppe il muro di una comunicazione altera e convenzionale, le imitazioni hanno fatto di peggio. Qualsiasi soggetto sia seguito da un “per tutti” normalmente porta il valore dell’analisi a zero. Così come il termine “gratis” non esiste: qualcuno che paga c’è sempre.
Noi vogliamo che i nostri lettori prendano in considerazione la nostra proposta non perché la più semplice e facile da capire, ma perché è quella che prova di spiegare, con fatica, la verità: e cioè che i problemi complessi hanno soluzioni complesse. Vogliamo lettori persuasi che le scorciatoie non esistono quasi mai. Vogliamo che chi leggerà queste pagine, allo scorrere di queste proposte, riesca a immaginarsi nella testa il lavoro che c’è dietro, l’impegno di anni, non quello che si manifesta solo a pochi mesi dalle elezioni.
Un programma costituito per essere letto da persone che pretendono da noi responsabilità e che vogliono esercitarla, questa responsabilità, con la consapevolezza di ciò che sta alla base delle loro scelte, della fiducia che accorderanno.
Un programma scritto per persone che non si accontentano. E che non cambiano canale, all’ora del telegiornale.